lunedì 16 luglio 2018

Un guru in mutande



Sulla porta di casa di un noto fisico e docente universitario, famoso per il proprio rigore scientifico,  faceva bella mostra un amuleto. L’assistente che un giorno andò a trovarlo fu colto da stupore: “Professore, ma lei crede veramente a queste cose?”. “Certo che no, ma mi hanno garantito che funzionano anche se non ci si crede”. 
Puoi avere la formazione scientifica più rigorosa di questo mondo ma se ti trovi nella “cacca” sei pronto ad aprirti ai miracoli. La possibilità che la vita abbia un nucleo magico che trascenda gli angusti limiti della ragione è pur sempre un dubbio che si annida nell’animo umano di chiunque. Negli anni ’80, fresco di laurea in ingegneria elettronica, ebbi molte offerte lavorative. Nel giro di pochi mesi, mentre mi lanciavo in quella che consideravo la missione della mia vita, soldi e carriera, ebbi la “fortuna” di inciampare  nell’esperienza degli attacchi di panico. Non so se fosse lo stress od un orologio interiore che mi stava allertando di qualcosa, di fatto cominciai ad avere tutti i sintomi di un attacco di cuore. Lo spavento fu grandissimo e più volte mi ritrovai al pronto soccorso certo che di lì a poco sarei morto. Fu anche l’occasione per un pellegrinaggio presso alcuni specialisti. Il verdetto era sempre lo stesso: “Si calmi, lei sta benissimo, il suo cuore non ha alcun problema”.  Fu allora che nella mia mente cartesiana cominciò ad aprirsi una breccia: il mondo medico con la sua  sofisticata strumentazione mi diceva che stavo bene, il mio corpo urlava il contrario. Chi aveva ragione? Era giunto il momento di andare dallo sciamano. In quegli anni, la parola yoga evocava ancora immagini misteriose, la new age era giusto agli inizi in quel di Viareggio. Sapevo che i Beatles erano stati in India dal Maharishi Mahesh Yogi  e che in Oregon Bhagwan Shree Rajneesh, successivamente conosciuto come Osho, stava acquistando la sua flotta di Rolls Royce. Quello era per me il mondo della meditazione e della filosofia orientale: fricchettoni hippie con il cervello fumato. Fortunatamente il mio corpo, a dispetto dei miei pregiudizi intellettuali e dei verdetti del mondo medico, continuava a stare male e quindi, non senza una certa riluttanza, mi decisi ad andare a provare una lezione di yoga.
Era un caldo pomeriggio estivo ed una serie di informazioni, quasi sussurrate da bocca ad orecchio, mi condussero in un buco di appartamento che si trovava  nel cortile interno di una piccola palazzina. Trovarlo non fu semplice, una sorta di prova per verificare se ne fossi degno di raggiungere il santuario. Avevo un bel po’ di domande da fare a chiunque avesse  aperto la porta ma già mi ero fatto il film. Immaginavo un luogo carico di immagini sacre Indù,  un sottofondo musicale di sitar,  ed un clone di John Lennon con vestito di lino bianco pronto ad accogliermi: “benvenuto fratello, entra”. Da parte mia avevo già pronte una serie ben articolata di scuse per girare i tacchi prima ancora di varcare la soglia.
Le mie aspettative cinematografiche furono però completamente disattese. L’appartamento era arredato in modo spartano ed Alessandro, il mio primo insegnante di yoga, pur essendo anche musicista amante di John Lennon e dei Beatles in generale, aveva un’aria ben poco mistica. Alquanto sudaticcio indossava un costume da bagno di colore rosso sbiadito e consunto. La mia mente colma di dubbi e quesiti esistenziali partorì così la migliore domanda che potessi fare: “Ma lo yoga si fa in mutande?”. Le mie aspettative intellettuali dovettero allora confrontarsi con la prima risposta di un guru in carne ed ossa: “Certo, è caldo!”. A tutt’oggi,  a distanza di molti anni, questa botta e risposta costituisce ancora il migliore aforisma sullo yoga che conosca, un vero Koan Zen. In quel preciso istante ogni malessere del mio corpo svanii nel nulla e mi sentii a casa. Da allora non ho più smesso di praticare yoga. Non sono un asceta ed apprezzo le donne che spendono in abbigliamento intimo, ma devo confessare che solo le mutande di Alessandro hanno dato un nuovo corso alla mia vita.
L’insegnamento di questa storiella? Non deve per forza averlo dato che è una storia realmente accaduta, ma credo che si possa dire che ogni cosa che inizialmente si manifesta come un problema possa poi rivelarsi un dono.
Ad ogni modo quei tempi pioneristici sono passati, oggi lo yoga si fa vestiti, indumenti comodi ma vestiti.

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