martedì 31 luglio 2018

Come stelle che irradiano ovunque



La disposizione degli occhi negli animali è essenzialmente funzione del loro stile alimentare. La disposizione degli occhi nella testa degli erbivori è laterale perché se bruchi l’erba di un prato non hai una grossa necessità di vedere ciò che mangi. E’ difficile sbagliare la posizione della bocca se il tuo piatto è di alcuni ettari. Serve però un campo visivo molto ampio per accorgersi per tempo della presenza di un predatore. Quest’ultimi, al contrario, hanno gli occhi disposti frontalmente per favorire la focalizzazione verso la preda e successivamente l’attacco. Certamente la disposizione laterale offre una visione panoramica ma meno focalizzata, come un grandangolo. Quella frontale orienta verso un bersaglio, come un teleobbiettivo.
La posizione frontale degli occhi offre inoltre una visione a colori e binoculare per visualizzare bene le distanze in maniera tridimensionale. Questa è anche la ragione per cui i primati hanno questa disposizione in relazione alla loro dieta prevalentemente frugivora e quindi la necessità di vedere e distinguere bene bacche e frutta dal resto della vegetazione.
Come esseri umani ereditiamo la posizione degli occhi dai nostri fratelli maggiori primati e certamente ciò ha aiutato, assieme al pollice opponibile, lo sviluppo dei processi cognitivi. La mente è focalizzata al pari della vista che è di gran lunga il senso più usato tra i 5. Vediamo però che impatto ha tutto questo a livello della consapevolezza in uomini e donne dei tempi attuali.
Ok, se devo scegliere qualcosa dallo scaffale di un supermercato la vista frontale aiuta e certamente anche se devo guardare qualcuno negli occhi. Non ho idea di come due mucche si guardino negli occhi, forse guancia a guancia. Magari il lato romantico rimane.
Ma in noi esseri umani c’è un problema: dove focalizziamo la nostra vista e con essa la coscienza nella nostra  vita quotidiana? Per molti di noi di fronte allo schermo di una Tv o di un PC, di uno smart-phone, guardando la strada davanti a noi mentre guidiamo,  leggendo un libro che teniamo in mano, sempre di fronte a noi. Come possiamo pensare che questo orientamento visivo non abbia anche un impatto sulla nostra coscienza? E’ ovvio che questo favorisce una focalizzazione ed una perdita di visione panoramica della nostra esistenza. La nostra coscienza è come il raggio di una torcia elettrica che illumina ciò che sta di fronte, e quindi anche  il futuro. L’espressione guardare in avanti significa pensare a quello che accadrà. Quindi, la nostra mente è intrisa di temporalità e vede una traiettoria precisa degli eventi passati e futuri. Tutto ciò aiuta la nostra progettualità, è fuori dubbio. Ma come facciamo a stare nel presente? Come possiamo avere una “visione a 360 gradi” della nostra vita? Come possiamo accorgersi di altre opportunità? Come possiamo semplicemente stare e godere del presente?
Certamente non possiamo tornare indietro nel tempo di svariati milioni di anni e pilotare l’evoluzione della specie in modo diverso. Ma possiamo fare molto attraverso la pratica dello yoga. Quando Mr Iyengar diceva che il retro delle ginocchia deve aprirsi per diventare occhi spalancati sulla bellezza del modo stava dicendo che tutto il nostro corpo può diventare un insieme di innumerevoli occhi attraverso cui guardare l’intera esistenza nella sua sfericità. Lo yoga enfatizza l’uso di tutti i sensi e soprattutto la percezione spaziale completa.  Ci offre molteplici posizioni che il corpo può assumere, ma, oltre a ciò, è la singola posizione che , a sua volta, è un universo conoscitivo sferico. La nostra coscienza acquista sfericità. Smettiamo di essere una torcia elettrica con un raggio luminoso stretto e diventiamo piccole stelle che irradiano ovunque nello spazio.

venerdì 27 luglio 2018

Celebrare il Plenilunio del Leone/ Celebrating the Leo Full Moon



(English version below)

Qualche volta una visione scientifica di un fenomeno naturale può togliere poesia ma molto spesso aggiunge comprensione e bellezza. La luna piena di oggi si tinge di rosso perché durante un’eclissi di Luna la luce solare è ostacolata dalla Terra che proietta quindi la sua ombra sul nostro satellite naturale. Ma non tutta la luce viene bloccata, la componente a frequenza pù bassa , corrispondente al rosso, riesce a deviare, a compiere una traiettoria di aggiramento del nostro pianeta e raggiunge la Luna. Si chiama diffrazione ed è la stessa ragione per cui il sole al tramonte si tinge di rosso.  C’è uno sforzo in tutto questo, ma il buio non è mai totale qualcosa arriva ed ha il colore della passione, il rosso. Ogni sforzo che noi facciamo per migliorare noi stessi, per arrivare al nostro centro, per cogliere il nucleo divino della nostra identità (Sole in Leone in congiunzione con il nodo Lunare Nord) se è veramente carico di passione e coraggio, avrà un effetto non solo su di noi ma sull’intera umanità, a partire dalla nostra famiglia e  dai nostri amici (Luna in Acquario in congiunzione al Nodo Lunare Sud). Se rivolgiamo solo l’attenzione all’esterno di noi, se cediamo alle continue richieste di attenzione degli altri perdiamo il nostro centro e non potremo dare niente  di reale agli altri. Ma un vero, onesto ed appassionato lavoro su di noi sarà contagioso. Che sia la danza, lo yoga, la meditazione, l’arte o qualunque altra cosa deve bruciare di passione. Solo così sarà contagiosa e ci mostrerà quanto siamo interconnessi, anche quando pensiamo di trasformare solo noi stessi.


Sometimes a scientific view of a natural phenomenon can take away poetry but very often adds understanding and beauty. Today's full moon is tinged with red because during a lunar eclipse the sunlight is hindered by the Earth, which projects its shadow onto our natural satellite. But not all the light is blocked, the low frequency component, corresponding to red, manages to deviate, to make a trajectory of bypassing our planet and reaches the Moon. It is called diffraction and is the same reason why the sun at the sunset is tinged with red. There is an effort in all this, but the darkness is never total. Something arrives anyway and has the color of passion, red. Every effort we make to improve ourselves, to find our own center, to capture the divine nucleus of our identity (Sun in Leo in conjunction with the North Lunar node) if it is truly loaded with passion and courage, it will have an effect not only on us but on the whole humanity, starting from our family and our friends (Moon in Aquarius in conjunction with the South Lunar Node). If we focus only on the outside of ourselves, if we yield to the constant requests for attention of others we lose our center and we can not give anything real to others. But a true, honest and passionate work on us will be contagious. Whether it is dance, yoga, meditation, art or anything else it must burn with passion. Only in this way it will be contagious and it will show us how interconnected we are, even when we think of transforming ourselves only.

domenica 22 luglio 2018

Yoga per occidentali



Il panorama dello yoga che è possibile osservare nel mondo occidentale è dominato da due proposte fra loro opposte. La prima è quella della pratica principalmente orientata a lavorare nel corpo, con metodologie diverse, più o meno raffinate, ma pur sempre “limitate” ad un lavoro a livello fisico. In teoria la proposta sarebbe più ampia ma all’atto pratico si riduce a questo.
La seconda scelta è più mistica ed intrisa della religiosità indiana. 
L’incontro con i miei primi Maestri di origine centro americana e successivamente con il sistema Iyengar, proveniente dall’India, mi hanno sempre suggerito  la possibilità di una terza  via: quella in cui un sano e corretto lavoro sul corpo potesse sposarsi con  una  qualità riflessiva applicata alla vita quotidiana.  Esiste una forma di spiritualità di carattere non religioso e non dottrinale che cerca comunque di rispondere alla domanda  chiave: “che senso ha la mia vita?”.  La risposta a questa domanda non può arrivare lavorando unicamente nel corpo. Ma allora, se cerco qualcosa di più di una sofisticata forma di stretching, devo necessariamente entrare nel mondo mistico dell’India? Non necessariamente! Lo yoga ha una natura non religiosa e la sua commistione con la religiosità indiana è un fenomeno successivo avvenuto per pura prossimità geografica.  Se lo yoga fosse nato in Italia adesso sarebbe intriso di cattolicesimo. Mi piace citare il  Dailai Lama che  dichiara l’importanza in occidente della divulgazione del nucleo scientifico e sapienziale del Buddismo, depurato da ogni da ogni forma di ritualità ed iconografia di stampo religioso. La stessa cosa per lo yoga.  Sia il buddismo che lo yoga hanno un nucleo centrale che è scientifico, una scienza rivolta allo studio della mente e della coscienza. E’ questo nucleo che oggi può sposarsi con le frontiere della psicologia transpersonale ed umanista occidentale  e di tutta la ricerca spirituale “laica” che, soprattutto in occidente,  va sotto l’etichetta “Integral Cullture” . E’ questa visione di sintesi  che mi è stata offerta dai miei primi maestri e che sempre più forte sento risuonare in me, che intendo portare avanti in Yoga per Essere. 

mercoledì 18 luglio 2018

Danzare per unire ricerca spirituale e gioia / Dancing to unite spiritual quest and joy



Da dove viene questo pensiero sabotatore?

Amo ascoltare gli insegnamenti di vari maestri spirituali. Spesso basta il frammento di una frase per riallinearmi con la parte più autentica di me. Più volte ho sentito riaffermare l’importanza di essere giocosi come  qualità principale di una vera ricerca spirituale. Perché mai la ricerca di se stessi dovrebbe essere seriosa, drammatica, carica di sacrifici? Ma mentre ero immerso in queste riflessioni un pensiero è emerso da un angolo buio della mia mente infilandosi fra le crepe della mia idea di felicità. “Facile parlare di gioia, giocosità quando sei in salute, quando non hai problemi economici, quando non devi lottare ogni giorno per la tua sopravvivenza…” Questa voce mi ha freddato buttandomi sulle spalle un sacco di iuta pieno di sensi di colpa e di paure. “Chi ti assicura che questa tua condizione privilegiata non cambi in peggio?  Non stai forse peccando di arroganza?”  La mia faccia gioiosa ha assunto così un’espressione seriosa e preoccupata ed ho cominciato veramente ad interrogarmi se non stessi pontificando sul senso dell’esistenza da dentro una torre di avorio. Fortunatamente, ho passato anni a ri-educarmi ad un nuovo senso del vivere cercando di dare più spazio al sentire che ai vari moralismi su come le cose dovrebbero essere. Lasciando quindi la mente ai suoi conflitti ideologici ho ascoltato nel profondo il mio corpo e tramite esso mi sono riagganciato al cuore pulsante della vita. Questo pensiero sabotatore può mettere in crisi la mia mente ma non ha potere contro l’esperienza diretta che colgo a livello viscerale. No stavolta non mi freghi. Perché mai coltivare la gioia, la bellezza, il piacere, l’arte del vivere dovrebbe arrecare danno agli altri? Perché mai intristirmi dovrebbe farmi sentire più empatico con chi soffre? Perché mai  amare sé stessi dovrebbe essere un atto di egoismo e non viceversa il primo ed indispensabile passo per aiutare ed amare gli altri?
Chi è stato questa volpe che si è inventato questo schema di pensiero così sabotatore? Probabilmente siamo in molti a volerlo scoprire, soprattutto in quest’area del pianeta falcidiata dai sensi di colpa. Io una mezza idea c’è l’ho e probabilmente molti altri con me che hanno a comune le stesse radici sociali, culturali e religiose. Ma adesso, ho anche una certezza: sicuramente era qualcuno che non ha mai danzato!

Riconnettere ricerca spirituale e gioia

Quando siamo seri siamo tristemente rinchiusi nella nostra mente, quasi autistici. Al contrario essere gioiosi, giocosi e leggeri ci rende più aperti alla vita. Quando mai essere rinchiusi nel pensiero ci ha reso felici? Basta evocare gli ultimi episodi carichi di gioia della nostra vita per realizzare che c’è sempre stata una partecipazione emotiva, fisica, una sensazione di appartenenza, di maestosità. Nessun pensiero logico ci ha mai reso felice, nessuna esasperazione del senso del dovere, nessuna pressione psicologica. Non sto negando l’importanza del dovere, al contrario. Abbiamo una grande responsabilità nei confronti nostri e della vita intorno a noi. Se veramente ce ne rendiamo conto scopriremo che non ci sono altre opzioni che arricchire l’esistenza di bellezza e gioia.
Una società che risuona unicamente sui problemi, sulla crisi, sulla paura confina il piacere  nella trasgressione. In quest’area nascosta ma così attraente non si cerca la consapevolezza ma lo sballo, l’annebbiamento della coscienza, l’ubriacatura delle nostre funzioni cognitive. E’ altrettanto chiaro che in questo caso il piacere è puramente egoistico e vibrante sul mantram “chi se ne frega del mondo, adesso me la godo”. Ciò rafforza il pensiero “serioso e (falsamente) adulto” che etichetta il piacere ed il gioco come  fenomeni superficiali …nei migliori dei casi, ovviamente.
Per non perpetuare questo “malinteso”, chiamiamolo così, è importante affermare che il gioco ed il piacere sono gli strumenti base per allinearci alla grande danza della vita. Se c’è un modo per risanare la nostra Anima passa di lì.

 Danzare è fare entrare un raggio di luce

Uno dei tanti Maestri che ho conosciuto diceva che non è possibile aspirare fuori il buio da una stanza, possiamo solo fare entrare un raggio di luce. Cercare di risolvere tutti i problemi che abbiamo individualmente e collettivamente prima di potere essere felici ha la stessa logica di costruire un grosso aspirapolvere per il buio del mondo. E’ una sfida persa in partenza e che probabilmente nasconde la paura di mettersi in gioco, di confrontarsi con la ricchezza di possibilità che sono presenti in noi e negli altri.
Certo, accedere all’intensità del mondo interiore e celebrarlo attraverso la danza può incutere timore, è come aprire un vaso di pandora. Ma perché dovrebbe contenere solo demoni? Da dove viene questa sfiducia sulle nostre risorse interne? E qui mi risuona un altro insegnamento: “la nostra più grande paura è verso ciò che potremmo essere, verso la libertà che potremmo avere.” Io penso che sia solo una paura di anticipazione di qualcosa che nella realtà avviene diversamente.
Nelle due ore che danziamo ci liberiamo dai giudizi e pre-giudizi, diamo enfasi alla mente sensiente e mandiamo al cinema quella che analizza. Se inciamperemo in qualche parte di noi che ci reca dolore la danza l’accompagnerà e scioglierà quel dolore. Se l’emozione ci farà piangere o ridere ci sentiremo come se avessimo pulito casa da strati di polvere accumulata da anni. Se danzeremo con un’altra persona sentiremo che entrambi stiamo cercando la stessa cosa. E se ci troveremo connessi con il tutto resteremo sorpresi dell’estrema naturalezza della cosa.
Ad un certo punto le due ore passeranno ed, anche se il tempo scorre diversamente per chi danza, l’insegnante ha sempre un occhio rivolto all’orologio. Nei giorni successivi la nostra vita cambierà di molto poco, pur sentendoci meglio e più felici dentro. Dopo un anno, nel guardarci indietro a come eravamo, avremo difficoltà a credere a quanto siamo cambiati.
C’è una rivoluzione pacifica e contagiosa che è a portata di mano. Basta danzarla.

-----    English Version     -----

Where does this saboteur thought come from?

I love listening to the teachings of various spiritual masters. Just a fragment of a sentence helps me to align with the most authentic part of me. Very often they repeat the importance of being playful as one of the  main qualities of a true spiritual quest. Why should it be serious, dramatic, full of sacrifices? But while I was immersed in these reflections, a thought emerged from a dark corner of my mind sneaking into the cracks of my idea of happiness. "Easy to talk about joy, playfulness when you are healthy, when you have no economic problems, when you do not have to fight every day for your survival ..." This voice cooled me leaning on my shoulders a basket full of guilt feelings and fears . "Who does assure you that this privileged condition will not get worse? Are you not sinning of arrogance? "My joyful face took on a serious and worried expression, and I began to really wonder if my idea of dance and happines was only an arrogant thought due to my privileged condition. Fortunately, I spent years in educating myself to a new way of living, giving more emphasis to feeling rather than the morality in my mind about how things should be. So leaving my mind to its ideological conflicts, I deeply listened to my body I alligned my self to the core of life. This sabotaging thought can deceive my mind but not my body. Then my boduy gave an healthy input to my mind: Why should cultivating joy, beauty, pleasure and art of living should harm others? Why should becoming sad  make me empathic with who is suffering? Why should love for myself be an act of selfishness and not vice versa the first and indispensable step to helping and loving others? Where does this saboteur thought come from? Who created this dark scheme of thought? I have an idea and probably many others with me who share the same social, cultural and religious roots. But now, I also have a certainty: surely it was someone who has never danced!

Reconnecting spiritual quest and joy

When we are serious we are sadly locked in our mind, we are almost autistic. On the contrary, being joyful, playful and light makes us more open to life. Just remember the last episodes filled with joy to realize that there were always full of emotions and physical participation. No logical thought has ever made us happy, no exasperation of the sense of duty, no psychological pressure. I'm not denying the importance of responsability, on the contrary. We have a great responsibility towards us and our life around us. If we really realize it, we will find that there are no other options that enrich the existence of beauty and joy.
This society that resonates only on problems, on crisis, on fear confines pleasure to transgression. Of course in this hidden (but so seductive)area you can find that kind of pleasure which is selfish and discottected by consciousness. It is a place that vibrates on the mantra "who cares of the world, I care myself only". And of course this situation gives strength to the serious and (falsely) adult way of thinking that labels pleasure and play as superficial phenomena ... in the best of cases.
I want to give my personal contribute to not to perpetuate this "misunderstanding".  I really feel the importance of affirming a new paradigm about living where spirituality, playfulness and pleasure moves together. If know that the path of healing my soul must have this quality.

 Dancing is to bring in a ray of light

Once a Masters told me that it is not possible to suck out of the dark out of a room, we can only bring in a ray of light. Trying to solve all the problems we have as individuals and as society before being able to be happy has the same logic of building a big vacuum cleaner for the dark of the world. It's a lost challenge and probably it hides the fear of getting involved and  to face the wealth of possibilities that are present in us and in others.
Of course, accessing the intensity of the inner world and celebrating it through the dance can be feared, it's like opening a pandora pot. But why should it contain only demons? Where does this distrust about our internal resources come from?
Again one master told me: "Your greatest fear is about what you might be, the freedom you could have." Luckily Dance and Yoga determine a slow and progressive transformation .
In the two hours we dance we free ourselves from judgments and pre-judgments, we give emphasis to the sensory mind, sending the one that analyze in vacation. If dancing we meet a part of us connected with sadness or suffering the dance will welcome this part dissolving this sorrow. If we will  weep or laugh we will feel like we've cleaned the house from dusty layers accumulated for years. If we will dance in communion with another person we will feel that we are both looking for the same thing. And if we find ourselves connected with everything we will be surprised by the extreme naturalness of the thing.
At some point the two hours will pass and, although the time runs differently for those dancing, the teacher always has an eye on the clock. In the following days our lives will change very little. We will just feel a bit  better and happier. But after one year, looking back at how we were, we will be surprised in realizing how much we have changed.
There is a peaceful and contagious revolution at hand. Just dance it.

martedì 17 luglio 2018

Dal problema al benessere



Dal problema dal benessere: un percorso di autorealizzazione


Tutte le tradizioni spirituali assieme alla psicologia umanista e transpersonale riconoscono che la vera felicità corrisponde alla realizzazione della nostra vera natura. Non si parla di brevi momenti di gioia o di uno stato calma apparente. La felicità può essere uno stato permanente, una condizione di pienezza del vivere, il sentire che questa vita è per noi. Ma come può questa sorgente interiore richiamare la nostra attenzione se la nostra mentre è sempre rivolta a risolvere problemi, sempre carica di pensieri e preoccupazioni?  Quando siamo fortunati ce lo comunica con un malessere, fisico o psicologico. Trasformare il problema in un’opportunità di realizzazione è la via dello yoga.

Ascoltare l’intelligenza del corpo

Ad un certo punto occorre fermarci e capire dove siamo, anzi…sentire dove siamo. Nessun nuovo inizio, nessun cambiamento può avvenire se siamo in moto perpetuo. La nostra mente è costantemente in un vortice che spazia nelle praterie del passato e del futuro, attraversando per un attimo la sottile linea del presente. Fortunatamente, ogni tanto, il nostro corpo reclama attenzione e lo fa dal presente, l’unico luogo che è in grado di abitare. Sì perché a differenza della nostra mente che si annoia a sostare nel presente il corpo non ha una dimensione temporale. Sente ciò che accade nel momento in cui accade, né prima né dopo. Le preoccupazioni riguardo la nostra salute fisica od il desiderio di riprovare un certo piacere sono nella nostra mente. Il corpo sta bene o sta male, non è preoccupato.
Naturalmente il corpo ha una sua intelligenza che ha una natura sensoriale. Non elabora, non pianifica, non immagina e non fa molte altre cose che abitualmente siamo portati ad associare alla creatività. Il corpo sente! Ed è esattamente questo che ci può salvare. Ma salvare da cosa? Ci può salvare da una vita immaginata e non vissuta. La vita reale accade nel qui ed ora, non nel passato che non esiste più, non nel futuro che ancora non esiste.
La più frequente sorgente di infelicità non si trova nel presente ma nei processi mentali di identificazione con fenomeni già avvenuti o che pensiamo avverranno. Questo movimento della nostra mente maschera la realtà, ci allontana dalla nostra vera natura e dalla possibilità di essere felici. Quando tutta la nostra consapevolezza è nella testa non siamo in grado di assaporare il piacere della vita che accade nel momento presente. Dobbiamo tornare all’intelligenza sensoriale che il corpo.

Un acciacco ci salverà

E’ un fatto piuttosto comune che con il passare degli anni il corpo cominci a manifestare qualche acciacco. Ad essere onesto la mia esperienza diretta prova il contrario perché il mio corpo sta molto meglio ora di quando ero più giovane e questo grazie allo yoga. Ad ogni modo anch’io ho iniziato la pratica dello yoga perché avevo dei disturbi di origine psicofisica. Va bene, mettiamola così: ad un certo punto, giovani o anziani che siamo, il nostro corpo può manifestare un problema. Poiché dentro di noi c’è una naturale tendenza alla felicità diciamo che il malessere, qualunque forma abbia, vorremmo che sparisse il prima possibile. In realtà il malessere è la porta d’ingresso verso un percorso che potrebbe salvarci la vita, un percorso verso la felicità. La mente interpreta il malessere del corpo come un problema da risolvere, crea correlazioni con il passato e si prefigura lo scenario futuro. Ma il corpo sta soltanto manifestando il bisogno di essere ascoltato. Lo yoga in genere inizia da qui. Chi inizia a fare yoga molto raramente lo fa per semplice curiosità. In più di 30 anni che insegno non ho mai trovato un allievo che mi dicesse: “sai, stavo talmente bene che ad un certo punto, non sapendo che fare, ho avuto la curiosità di provare lo yoga.” Diciamo che se qualcuno mi avesse detto una cosa del genere me lo ricorderei. Sì perché le storie che mi raccontano suonano più del tipo: “ da un po’ di tempo ho questo problema e voglio vedere se con lo yoga riesco a superarlo.” Il problema può essere di natura articolare, può riguardare la colonna, una condizione di stress e molto altro. A questo punto vi starete chiedendo: “ma queste persone, alla fine, praticando yoga, il problema lo superano?”. Se volete una risposta secca: “sì, quasi nel cento per cento dei casi”. Ma questa risposta non descrive il fenomeno reale che è molto più complesso e magico. Quello che infatti accade è che l’individuo, assieme ad un miglioramento della propria condizione psicofisica acquista consapevolezza di un’altra possibilità di vivere, più ricca, più passionale, più viva, più autentica.

La pratica dello yoga

Lo yoga è un’arte ed una scienza antichissima. Sebbene sia nata in India e si sia integrata con la religiosità e cultura del luogo ha in realtà un nucleo conoscitivo e di tecniche che valgono per tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla cultura, nazionalità, religiosità, sesso ed età. Non ti chiede di cambiare cultura o religione, ti chiede solo di sperimentare. Sì, perché se anche il sistema yoga è complesso e ricco di saggezza, il punto di partenza è semplice: ritorna al corpo, ritorna alla parte più semplice di te. Questo accade un po’ in tutte le forme di yoga ma in particolare nel metodo Iyengar dove l’attenzione all’allineamento del corpo e l’uso di semplice attrezzi (mattoni di legno, coperte, cinture etc..) ha proprio lo scopo di portare la consapevolezza dalla mente al fisico. Quindi, nell’eseguire le asanas (posizioni del corpo) accadono due fenomeni importanti:
1.       Il corpo viene rimesso in buona salute, reso più elastico, più forte e più vitale
2.       La mente diventa molto più integrata con l’esperienza fisica. Cessa di essere nel suo mondo immaginato ed entra nel mondo reale, nel presente. La vera differenza con qualunque altra forma di ginnastica sta proprio qui: il corpo non è semplicemente una macchina da usare ma un soggetto intelligente , creatore di consapevolezza di alta qualità.
Il benessere è quindi associato ad una nuova forma di consapevolezza e la nostra essenza comincia a manifestarsi. Dal puro sopravvivere entriamo nella dimensione del vivere pienamente. Quello che percepivamo come problema è stato il primo passo verso la felicità.

In conclusione

Lo yoga non è una terapia, questo è bene chiarirlo. Non va a sostituire nessuna forma di terapia medica o psicologica, semmai può accompagnarla. Lo yoga è in realtà un processo educativo che ci aiuta a vedere la vita da una prospettiva diversa e lo fa non in modo intellettuale. Possiamo decidere di risolvere i nostri problemi nel modo convenzionale. Ma possiamo anche usare questa opportunità per fare un salto di qualità. C’è una sorta di malessere esistenziale che si esprime sotto forma di problemi fisici e psicologici, possiamo sentirci chiusi all’interno di gabbia fatta di stereotipi. Possiamo ritenere che ormai la nostra vita sia questa e non possiamo più cambiarla. Possiamo essere sotto stress. Insomma sono tanti i modi in cui un malessere esistenziale può manifestarsi e per tutto questo non esiste una vera medicina. E spesso non esiste neanche una vera terapia psicologica poiché si tratta di una malessere spirituale che richiede un approccio integrale: fisico , emozionale e mentale. Questo è il percorso dello yoga. Lo yoga è per Essere!



lunedì 16 luglio 2018

Un guru in mutande



Sulla porta di casa di un noto fisico e docente universitario, famoso per il proprio rigore scientifico,  faceva bella mostra un amuleto. L’assistente che un giorno andò a trovarlo fu colto da stupore: “Professore, ma lei crede veramente a queste cose?”. “Certo che no, ma mi hanno garantito che funzionano anche se non ci si crede”. 
Puoi avere la formazione scientifica più rigorosa di questo mondo ma se ti trovi nella “cacca” sei pronto ad aprirti ai miracoli. La possibilità che la vita abbia un nucleo magico che trascenda gli angusti limiti della ragione è pur sempre un dubbio che si annida nell’animo umano di chiunque. Negli anni ’80, fresco di laurea in ingegneria elettronica, ebbi molte offerte lavorative. Nel giro di pochi mesi, mentre mi lanciavo in quella che consideravo la missione della mia vita, soldi e carriera, ebbi la “fortuna” di inciampare  nell’esperienza degli attacchi di panico. Non so se fosse lo stress od un orologio interiore che mi stava allertando di qualcosa, di fatto cominciai ad avere tutti i sintomi di un attacco di cuore. Lo spavento fu grandissimo e più volte mi ritrovai al pronto soccorso certo che di lì a poco sarei morto. Fu anche l’occasione per un pellegrinaggio presso alcuni specialisti. Il verdetto era sempre lo stesso: “Si calmi, lei sta benissimo, il suo cuore non ha alcun problema”.  Fu allora che nella mia mente cartesiana cominciò ad aprirsi una breccia: il mondo medico con la sua  sofisticata strumentazione mi diceva che stavo bene, il mio corpo urlava il contrario. Chi aveva ragione? Era giunto il momento di andare dallo sciamano. In quegli anni, la parola yoga evocava ancora immagini misteriose, la new age era giusto agli inizi in quel di Viareggio. Sapevo che i Beatles erano stati in India dal Maharishi Mahesh Yogi  e che in Oregon Bhagwan Shree Rajneesh, successivamente conosciuto come Osho, stava acquistando la sua flotta di Rolls Royce. Quello era per me il mondo della meditazione e della filosofia orientale: fricchettoni hippie con il cervello fumato. Fortunatamente il mio corpo, a dispetto dei miei pregiudizi intellettuali e dei verdetti del mondo medico, continuava a stare male e quindi, non senza una certa riluttanza, mi decisi ad andare a provare una lezione di yoga.
Era un caldo pomeriggio estivo ed una serie di informazioni, quasi sussurrate da bocca ad orecchio, mi condussero in un buco di appartamento che si trovava  nel cortile interno di una piccola palazzina. Trovarlo non fu semplice, una sorta di prova per verificare se ne fossi degno di raggiungere il santuario. Avevo un bel po’ di domande da fare a chiunque avesse  aperto la porta ma già mi ero fatto il film. Immaginavo un luogo carico di immagini sacre Indù,  un sottofondo musicale di sitar,  ed un clone di John Lennon con vestito di lino bianco pronto ad accogliermi: “benvenuto fratello, entra”. Da parte mia avevo già pronte una serie ben articolata di scuse per girare i tacchi prima ancora di varcare la soglia.
Le mie aspettative cinematografiche furono però completamente disattese. L’appartamento era arredato in modo spartano ed Alessandro, il mio primo insegnante di yoga, pur essendo anche musicista amante di John Lennon e dei Beatles in generale, aveva un’aria ben poco mistica. Alquanto sudaticcio indossava un costume da bagno di colore rosso sbiadito e consunto. La mia mente colma di dubbi e quesiti esistenziali partorì così la migliore domanda che potessi fare: “Ma lo yoga si fa in mutande?”. Le mie aspettative intellettuali dovettero allora confrontarsi con la prima risposta di un guru in carne ed ossa: “Certo, è caldo!”. A tutt’oggi,  a distanza di molti anni, questa botta e risposta costituisce ancora il migliore aforisma sullo yoga che conosca, un vero Koan Zen. In quel preciso istante ogni malessere del mio corpo svanii nel nulla e mi sentii a casa. Da allora non ho più smesso di praticare yoga. Non sono un asceta ed apprezzo le donne che spendono in abbigliamento intimo, ma devo confessare che solo le mutande di Alessandro hanno dato un nuovo corso alla mia vita.
L’insegnamento di questa storiella? Non deve per forza averlo dato che è una storia realmente accaduta, ma credo che si possa dire che ogni cosa che inizialmente si manifesta come un problema possa poi rivelarsi un dono.
Ad ogni modo quei tempi pioneristici sono passati, oggi lo yoga si fa vestiti, indumenti comodi ma vestiti.

domenica 8 luglio 2018

Insights from a Soul in Motion [Danzare il Plenilunio del Cancro 29/06/2018]



Eccoci ad un nuovo plenilunio, con il sole in Cancro e la Luna piena in Capricorno. Ad un primo livello, il più superficiale, potremmo considerare quella di stasera una delle Lune più romantiche grazie alla sorgente solare in Cancro. Mi piace però spostarmi di livello e scendere in profondità….ed andare alle radici. Un mio primo Maestro di saggezza diceva che lo yoga è il ricordo profondo di se stessi. In questi giorni, i più lunghi dell’anno, la notte sta però lentamente crescendo. Non ce ne accorgiamo, non vogliamo vederlo,  ma è un movimento sottile ed inarrestabile. E’ come se nel segno del Cancro, pur nel massimo della luce, si guardasse indietro. In qualunque direzione noi muoviamo la nostra vita, per quanto successo possiamo avere all’esterno, non potremo mai essere veramente feici se non ci riconnettiamo con le nostre radici. Queste radici sono oltre la memoria storica dei nostri genitori. La nostra casa d’orgine non è quella dove abbiamo passato l’infanzia. No, si tratta di un bisogno profondo di unità e connessione con il tutto che è il nostro vero punto di provenienza e dove comunque ritorneremo. Qualunque cosa facciamo nella nostra vita ha senso se alla fine ci orienta coscientemente verso l’esperienza dell’unità, dove amore e libertà si fondono. Questo è il ricordo profondo di noi stessi che possiamo trovare con lo yoga, con la danza, con la meditazione e molte altre vie spirituali. Nella Soul Motion la danza verso l’infinito (“landscape infinite”) si riconnette con la danza intima (“landscape intimate”). Il nostro bisogno di andare oltre ogni limite e restrizione non è altro che il bisogno di ritrovare quell’unità originaria da cui proveniamo. Danzare questa Luna piena è ricordare questo punto d’orgine, là dove stanno le nostre vere radici.