yoga, soul motion, conscious dance, meditazione, ricerca interiore, spiritualità, crescita personale, astrologia spirituale
venerdì 14 giugno 2019
Solstizio d'estate: danzare l'eroe solare che è in noi
Ancora pochi giorni e saremo al solstizio d’Estate e l’inizio ufficiale della stagione delle vacanze per eccellenza. Che in questo periodo ci si diverta o meno non scalza l’immagine presente nella nostra memoria della fine della scuola e delle belle giornate passate sul mare in compagnia degli amici. Sarà forse per questa ragione che tendiamo a vedere solo il lato luminoso del solstizio d’estate quasi che il lato “oscuro” ci guasti la festa. Eh sì, perché se da una parte siamo arrivati al giorno più lungo dell’anno, proprio per questa ragione, da questo momento in poi, la notte riprenderà a crescere. Cosa vuol dire questo? L’estate è un momento di decadenza? E allora le vacanze? Tranquilli, cambiamo prospettiva!
Ogni cosa che raggiunge il suo massimo celebra anche il suo opposto ed, in un certo senso, ne anticipa il trionfo futuro. Al pari di come il Natale, poco dopo il solstizio d’inverno, celebra la rinascita della luce, il solstizio d’estate celebra la rinascita dell’oscurità. Lo so, non ci piace! Molti di noi associano all’oscurità un valore negativo, vorremmo sempre giornate lunghe e luminose. Fortunatamente l'alternanza delle stagioni è un fenomeno immune da simpatie ed antipatie.
Il ciclo annuale del sole assieme al ciclo mensile lunare sono due grandi movimenti che hanno "organizzato" e reso possibile la vita su questo pianeta. Questo vuol dire che dentro ogni essere vivente, noi inclusi, è presente questa pulsazione. Prima ancora di ogni memoria storica, nelle nostre cellule vive la memoria collettiva ed inconscia di un tempo ciclico, di un nascere, crescere, decadere e morire per poi rinascere. In altre parole, il ciclo delle stagioni, è profondamente dentro il nostro inconscio in forma di archetipo e quindi di mito.
Il sole è in tutte le tradizioni associato alla figura dell’eroe, del salvatore. L’eroe (figura maschile e femminile) nasce inconsapevole del proprio destino, della propria missione, ma istintivamente sente che deve lasciare il luogo di origine ed intraprendere un viaggio. All’inizio della storia c’è sempre uno strappo, c’è sempre un incedere arrogante verso l’avventura. Fortunatamente, ogni sfida, ogni vittoria ma, soprattutto, ogni sconfitta plasmerà l’eroe raffinandone il potere. Inizialmente è solo forza bruta usata spesso in maniera goffa. Lentamente questo potere si raffina, si carica di saggezza, il senso della missione e della ricerca comincia a svelarsi. E c’è sempre un passaggio chiave in questo tipo di storie: all’apice della propria forza e della propria maturità l’eroe può permettersi di guardare indietro e riconciliarsi con le proprie radici, finalmente ne comprende il senso profondo. In un modo o nell’altro, la meta che sta perseguendo ed il luogo di origine sono strettamente connessi, possono addirittura coincidere. Qualunque origine contiene in sé il seme della missione.
Il solstizio d’estate simboleggia questa presa di consapevolezza dell’eroe che al massimo del potere volge lo sguardo verso la propria origine e ne comprende il valore.
La missione non è espandersi all’infinito, né rimanere nella illusoria gloria narcisista, ma fare ritorno a casa portando luce e saggezza.
Il ciclo delle stagioni, gli appuntamenti fissi con solstizi ed equinozi, parlano al nostro inconscio, attivano il nostro mondo mitologico ricordandoci che tutti, uomini e donne, siamo eroi solari. Abbiamo una missione da compiere ed abbiamo un tempo limitato per farlo. Tutto il tempo che sprechiamo senza ricordarci di questa missione è come illuderci di avere una vita eterna con questo corpo, è come sperare che il solstizio d’estate duri tutto l’anno, è il perpetuare un costante lifting facciale rendendo il nostro viso un orrendo mascherone senza vita.
Da alcuni anni seguo Sadhguru, un maestro indiano che sta acquisendo una popolarità paragonabile a quella del Dalai Lama. Uno dei temi a lui più cari è la precarietà della vita. Essere consapevoli di questa precarietà ci esorta a non perdere tempo e a dare valore a ciò che ha un’anima, a partire dalla nostra. Questa consapevolezza ci impone di dirigere i nostri sforzi verso la piena espressione della vita che è dentro di noi.
Nella nostra origine individuale, nel nostro momento seme di nascita c’è già il senso della missione della nostra anima che si incarna, per questo l’importanza dell’astrologia spirituale.
Questo giovedi 20 giungo, nel celebrare con un giorno di anticipo il solstizio d’estate, danzeremo il mito solare che è dentro noi e chi vorrà potrà usare, in forma di mantram, una frase seme ricavata dall’osservazione della propria carta natale astrologica.
Non perdere questa occasione!
domenica 19 maggio 2019
Alla ricerca del mito interiore
Perché essere
vittima dei tanti falsi miti di questa società quando abbiamo il nostro proprio
mito interiore da mettere in essere? E’ proprio qui che si cela la missione
dell’anima e con essa la nostra opportunità di realizzare tutto noi stessi. E’
in questo mito interiore che possiamo trovare la chiave per la felicità.
Ogni essere umano è
costantemente alla ricerca della propria felicità, ma per i più sembra essere
una utopia ed un movimento senza fine. Ovviamente ci sono le eccezioni e le
persone felici esistono: uomini e donne pienamente realizzati la cui vita
riflette la loro natura profonda. Tendiamo infatti a credere che la felicità,
sempre che esista, sia il risultato di una serie di situazioni al contorno
particolarmente positive: la persona giusta al nostro fianco, il lavoro giusto,
più soldi e così via. In pratica eliminiamo da questa equazione il parametro
più importante: la comprensione di noi stessi e di ciò che realmente fa per
noi. Crediamo di saperlo ma siamo semplicemente vittima dei grandi miti
sociali, siamo così immersi in questo pensiero collettivo che neanche ce ne
accorgiamo. E quindi come facciamo a venirne fuori?
I maestri
asseriscono che le vie di realizzazione sono tante quanti il numero degli
individui su questo pianeta. In pratica ogni essere umano è un progetto unico
ed irripetibile ed ognuno ha la propria missione spirituale. Quindi,
sebbene la meta sia per tutti la stessa, le modalità per arrivare sono
peculiari di ogni individuo. Naturalmente, se ognuno di noi dovesse
reinventarsi il proprio percorso si troverebbe di fronte ad un’impresa
colossale, per questo esistono le grandi vie spirituali. Fortunatamente, molte
tematiche in cui inciampiamo sono di inciampo per tutti e qualcuno, che è già
passato da lì, è in grado di consigliarci.
Ma rimaniamo sul
tema della peculiarità del nostro percorso individuale, cosa significa? Significa
in primo luogo guardare alla nostra vita come ad una potenziale opera d’arte
che chiede di essere svelata, portata in essere. Un fiore raro prezioso che non
chiede altro di essere curato, amato, lasciato libero di manifestarsi nella sua
bellezza. Ma se siamo vittima dei miti sociali siamo imbottiti di modelli e
canoni su come le cose devono essere, su ciò che è bello, giusto e vincente e
cerchiamo di incanalare dentro questi stereotipi qualcosa di molto antico che
non può essere incanalato: la nostra stessa Anima. E’ una battaglia persa! La
nostra Anima ha una missione da compiere e questa tensione interiore dà luogo
ad un mito interiore, un viaggio dell’eroe da affrontare, un intero pantheon di
divinità, Dei e Dee che scalpitano e che reclamano offerte e rituali. Il mondo
dell’Anima è un luogo mitico di forze il cui unico scopo è realizzare l’essere
umano completo in unione con il tutto.
Qualcuno ha detto
che il “mito è qualcosa che non è mai
accaduto, eppure accade continuamente”. Il mito non è una semplice
storiella ma il modo poetico e narrativo per raccontare ciò che si cela
nell’animo umano. Non narra niente di mai accaduto, ma il costante “tendere
verso” che è il moto della nostra Anima. Il linguaggio dell’Anima è rituale,
evocativo e si attua attraverso immagini e danza.
Per questo cerchiamo di danzare l’universo mitologico
interiore. Un universo che l’astrologia spirituale può svelare….ma questo è un
altro capitolo.
giovedì 25 aprile 2019
Dimorare nel giardino dell'Eden
Come è possibile non rimanere catturati dalla bellezza esplosiva della natura? Incredibili tonalità di verde fanno da sfondo alla infinita ricchezza cromatica dei fiori. Se c’è un periodo dell’anno che richiama l’immagine del paradiso terrestre è proprio questo. In un modo o nell'altro nel bagaglio delle storie che ci hanno raccontato c’è quella del giardino dell’Eden, una storia finita male con la cacciata di Adamo ed Eva, rei di aver mangiato l’unica frutto che era proibito.
Quando ero piccolo mi ricordo che avevo due quesiti in mente: il primo era perché Dio si fosse adirato così tanto, in fondo si trattava solo di una mela (ormai abbiamo identificato la mela come il frutto dell'albero della conoscenza). Mi sembrava una punizione spropositata. Ma avevo anche il secondo quesito: io dico, visto che hai tutto, visto che non ti manca niente, perché ti vai a cacciare nei guai per una mela. E lascia perdere, dai, mangia qualcos'altro?
Nella logica di un bambino questo ragionamento non faceva una piega. Ci vogliono un po’ di ferite offerte dalla vita per capire che il percorso verso la libertà richiede un certo numero di cacciate da quella situazione di stabilità e di apparente tranquillità. Libertà significa anche osare quell'unica cosa che ci è proibito fare. Ma in particolare il mito del giardino dell’Eden, come ogni mito, ha molti livelli di lettura. Ne prenderò uno.
In primo luogo cosa rappresenta il giardino, ricco e rigoglioso, dove tutti, esseri umani ed animali, vivono in pace? A me piace pensare che rappresenti quella condizione di unità e fusione con il tutto che nel profondo del nostro cuore noi tutti cerchiamo. Ma perché tale desiderio è così radicato in ognuno di noi? Probabilmente perché è un’esperienza a cui tutti possiamo avere accesso, probabilmente la nostra vera casa è lì.
Quando nei miti si parla di un giardino, di un fiume, di un mare, di una regione non si tratta mai di un luogo ma di uno stato di coscienza. Il giardino dell’Eden è uno stato di coscienza di unità con il tutto e con la vita, qualcosa che gli animali hanno naturalmente ed istintivamente ma che noi esseri umani abbiamo perso perché abbiamo la libertà di pensare e di fare delle scelte. Il mio primo Maestro diceva che il percorso evolutivo è quello che ci fa transitare da uno stato di unità inconsapevole, quella degli animali o di noi nella condizione di feto nella pancia della madre, allo stato di unità consapevole e libera.
Un altro punto importante è che nei miti il tempo non è quello che noi siamo abituati a sperimentare nella vita reale. Non c’è un passato che ormai non torna più, né un futuro che non si sa quando arrivi. Nel mito c’è una condizione di simultaneità degli eventi. Il giardino dell’Eden non rappresenta una condizione da cui siamo stati cacciati una volta per tutte ma uno stato di coscienza da cui veniamo allontanati costantemente da una mente molto ingombrante, da una costante identificazione con aspetti della nostra personalità invece che essere uno con la sorgente della vita che è in noi. Quindi al pari di come siamo costantemente allontanati da questo stato di unità abbiamo altresì la possibilità di tornarci in ogni momento.
Il termite Soul Motion significa “movimento dell’anima” e per me non è il nome di una particolare forma di danza consapevole. Al contrario mi rendo sempre più conto che allinearsi con il movimento della propria anima e rendere questo corpo e questa mente un veicolo di manifestazione di essa è l’unico modo per raggiungere questo stato di unità cosciente e consapevole, l’unico modo per essere felici. Che avvenga attraverso la danza, lo yoga, la preghiera, la meditazione ha poca importanza, il fine non va confuso con i mezzi per raggiungerlo. Dimorare nel giardino dell’Eden è possibile in ogni istante, anche se per un tempo limitato. E' comunque sufficiente per rendersi conto che è possibile.
sabato 23 febbraio 2019
Affidarsi
Ho sempre sentito che il ciclo delle stagioni e dei segni zodiacali potesse costantemente ricordarci di porre attenzione a tutti gli aspetti dell'esistenza, non solo a quelli a cui siamo maggiormente abituati. Sono molte le persone che già percepiscono la primavera e con la mente sono già andati lì, al ritorno delle giornate lunghe, all'esplosione della natura, all'evento della rinascita. Ma questa parte finale dell'inverno, che cade sotto il segno dei Pesci, è molto di più di una semplice anticipazione di Primavera. Ci ricorda infatti di vivere e di godere dell'attesa, di stare in questa terra di mezzo dove certe cose non sono più ed altre non sono ancora.
La parola "limbo" è sempre usata per indicare una condizione indefinita, spesso spiacevole perché incerta, ed al nostro ego non piace l'incertezza, il nostro ego si nutre di certezze. Ma la vita è per sua natura un costante fluire, una perenne trasformazione, la condizione di limbo è la più naturale che esista. Il problema è che tutti noi siamo stati educati al controllo, alla pianificazione, al dare una struttura precisa alla nostra vita. E così facendo abbiamo imbrigliato il nostro potenziale tentando di renderlo conforme ai modelli collettivi. In questo modo però parlare di rinascita è pura demagogia perché al più saremo in grado di ripetere quello che abbiamo sempre fatto. Il prossimo ciclo che inizierà sarà molto simile a quello appena concluso. Non sto parlando di eventi esterni ma della nostra relazione con il mondo. Se teniamo tutto sotto controllo non faremo altro che assemblare in modo leggermente diverso le solite cose.
La primavera quindi arriverà, non ci sono dubbi su questo, ma non è il caso di saltare i passaggi. In questo periodo dell'anno il simbolismo legato alla natura ci ricorda di imparare a stare con ciò che sta transitando, a godere di ciò che è indefinito, a riconoscere la magia dell'incertezza. E' qui che si affina il sentire, il fluire, l'accogliere il mistero e con esso la sorpresa di qualcosa di veramente nuovo.
La Soul Motion ci offre l'opportunità di danzare questa condizione di incertezza, di creare una relazione consapevole con il mistero, di fluire con tutto questo.
mercoledì 23 gennaio 2019
Danzare la Soul Motion è parte di uno yoga integrale
Lo so, ogni volta che c’è di mezzo la
musica ed il movimento nascono sentimenti contrastanti. La “danza” spaventa
mentre, al contrario, una posizione di yoga o sedere in meditazione ci fa
sentire protetti. La verità è che sia il movimento che la staticità, sia la
musica che il silenzio, producono sensazioni e trasformazioni della coscienza, costituiscono
differenti forme di esplorazione della nostra realtà interiore. Quindi cambia
la modalità ma non la sostanza. Praticare yoga, meditare o danzare in modo
consapevole sono strumenti per accedere ai nostri potenziali. La triste realtà
è che però siamo immersi in una coscienza collettiva estremamente giudicante.
Abbiamo da sempre convissuto ed assorbito le immagini collettive su come si
deve essere, sia nella modalità “bravi/e ragazzi/e” sia nella modalità
“trasgressione” che altro non è che un diverso accumulo di stereotipi. Di fatto
la vera trasgressione sarebbe quella di viverci per quello che siamo, sentirci
dall’interno invece che vederci attraverso un’immagine di noi che proviene
dall’esterno. L’unica ragione per cui la pratica dello yoga non inquieta più di
tanto è perché è ormai accettata collettivamente ed in molti casi è stata assorbita
dal mondo del fitness. Così ti allunghi, ti potenzi, puoi raccontare di fare
yoga…ed emotivamente non cambia niente. Nella reale pratica dello yoga questo
non è vero, perché tutto l’essere è coinvolto, ma nella consuetudine è ciò che purtroppo
accade. Nella danza, al contrario, il canale emotivo è quello principale. Non
attivare le emozioni sarebbe come praticare yoga sperando di non muovere un
muscolo. Le emozioni possono essere piacevoli o spiacevoli al pari di come
estendere la colonna vertebrale può provocare piacere o dolore, al pari di come
meditare significa accettare di essere attraversato da pensieri di qualunque
tipo. Tutto è semplicemente una fotografia del presente e solo
nell’accettazione di questa condizione, solo in una relazione autentica con noi
stessi, abbiamo l’opportunità di incontrare la nostra interezza. Temere la
danza per paura di esporsi emotivamente è comprensibile perché questa società
ha la fobia delle emozioni, ma alla fine emozionarsi, in un contesto protetto e
non giudicante, risulta la cosa più naturale e vicina alla vita reale che
esista.
Spesso le persone mi dicono che sono
preoccupate di danzare perché non si sentono portate o è molto tempo che non lo
fanno. E’ una “comprensibile stupidaggine” parente del non sentirsi adatti allo
yoga perché il corpo è rigido. Non esiste una misura esterna, non esiste un
voto, esiste solo l’apprendimento in una relazione sempre più creativa con noi
stessi.
Alla fine, tutti i timori che noi
possiamo avere nei confronti della danza come strumento di crescita della
coscienza non fanno altro che rivelare a noi stessi le gabbie di pensiero entro
le quali conduciamo la nostra esistenza. Normalmente non le vediamo, è un po’ come
fare finta che non esistano. Poi però se la vita non gira come vorremmo ci
lamentiamo. E’ meglio quindi approfittare di ogni strumento che ci aiuta ad
accedere ad un più alto livello di libertà interiore.
giovedì 17 gennaio 2019
Dal mito collettivo al mito naturale
L’immagine che abbiamo di noi è
essenzialmente fondata sul giudizio. I parametri sono quelli collettivi a cui
siamo stati abituati sin dalla tenera età: bellezza, intelligenza, astuzia,
intraprendenza, forza, bontà, ecc... Come se non bastasse aggiungiamo spesso 2
super-categorie con cui vogliamo sommariamente fare ordine nella nostra mente: la
super-categoria dei vincenti e quella dei perdenti. A quale delle due
appartieni? O in che percentuale appartieni alla prima e quanto alla seconda?
Anche quando ci riteniamo “oltre”, perché “spiritualmente evoluti”, nel nostro
intimo percepiamo un senso di soddisfazione o frustrazione in relazione ad un
certo successo sociale, nel lavoro, nelle relazioni, in ambito economico ecc..
Probabilmente la parola vincente o perdente non fa parte del nostro vocabolario,
l’abbiamo rimossa per ragioni estetiche ed ideologiche, ma un giudizio
implicito, non espresso verbalmente, pende su di noi.
La felicità è il desiderio base di tutti
gli esseri sensienti, così affermava il Budda. Ma essere felici ed essere
vincenti (secondo il modello collettivo) sono due cose profondamente diverse
sebbene siamo stati abituati a credere il contrario. La felicità è direttamente
connessa con l’espressione creativa della nostra natura profonda, con quanta
più vita siamo in grado di far scorre in noi.
Vi sono quindi miti collettivi, quelli
proposti dalla società, il cui inseguimento e raggiungimento producono, nel migliore
dei casi, un breve lampo di felicità. Sono nutrimento dell’ego la cui fame è
però insaziabile. Vi è al contrario un mito naturale, presente in ciascuno di
noi, che racchiude la missione dell’Anima. Ha a che fare con l’attuazione dei
nostri potenziali interiori. Non ci vede come individui separati in
competizione gli uni con gli altri ma come parti di un tutto. E’ il vero mito
che dovremmo perseguire. La cosa fantastica è che ciascuno ha il suo perché ognuno
di noi è un progetto unico ed irripetibile. Questo mito naturale è descritto
nella carta natale astrologica individuale e si manifesta nell’insieme dei
bisogni profondi che possiamo cominciare a percepire nel momento in cui ci
purifichiamo dai miti collettivi. Una tappa di questo mito è ciò che Ken Wilber
definisce come stato di coscienza del centauro, la figura mitologica metà
cavallo e metà umano spesso rappresentata nell’atto di scoccare una freccia. Il
centauro identifica la condizione di perfetta integrazione fra istinti (la
parte del corpo che corrisponde al cavallo), emozioni e intelletto (la parte
umana) per il raggiungimento della meta spirituale (la direzione verso cui
viene scoccata la freccia). Istinto, emozioni, pensiero e spirito sono anche
rappresentati dai 4 elementi nella successione di Terra, Acqua, Aria e Fuoco.
Ciascuno ha la propria miscela naturale di queste forme basiche di energia. Attivare
i 4 elementi significa pertanto aprirci all’interezza ed uscire dallo stretto
ambito delle categorie in cui ci siamo e siamo stati identificati. Diventare Terra,
Acqua, Aria e Fuoco è ampliare lo spettro delle nostre potenzialità, è vivere
noi stessi come un microcosmo in relazione con il macrocosmo. E’ un passo chiave
verso l’integrazione.
Nella danza vi è un naturale equilibrio
fra i 4 elementi. Il corpo, le emozioni, il pensiero e le nostre istanze
esistenziali sono presenti in una relazione creativa. Danzare i 4 elementi è evocare
la figura del centauro, è sentire dove siamo ed avere chiaro dove andare.
sabato 12 gennaio 2019
Danzare i 4 elementi
Siamo tutti vittima di miti
collettivi che respiriamo sin dalla nascita. Ogni essere umano ha creato una
certa immagine di sé in relazione ai valori della società in cui vive. Nella
maggioranza dei casi, questa immagine non ha niente a che fare con la nostra
vera natura. A causa di ciò non viviamo la vita che ci compete. Il senso di
insoddisfazione e frustrazione che normalmente attribuiamo a cause esterne ha
origine in questa sconnessione fra l’immagine che abbiamo creato di noi e la
missione della nostra anima.
Scopo di ogni disciplina evolutiva
è quello di riscrivere questa immagine per riavvicinarsi alla nostra missione
spirituale.
“Soul Motion” significa
letteralmente “Movimento dell’Anima”. Non è un moto fisico ma esistenziale, è
un tendere verso ciò che ci appartiene di diritto, è ritornare a casa là dove origine
e destinazione coincidono. Per entrare in questo movimento dell’Anima dobbiamo
passare dalla vita interpretata dalla prospettiva di un io rinchiuso in sé
stesso all’immersione diretta nel grande fiume della esistenza.
I 4 elementi (Terra, Acqua, Aria e
Fuoco) sono 4 archetipi primordiali che costituiscono i pilastri di tutta la
realtà manifesta. Immergersi in essi è un processo di purificazione da tutti
gli stereotipi su ciò che crediamo di essere. Essi rappresentano 4 forme
primarie di energie che albergano dentro e fuori di noi. Prima ancora del
pensiero, prima ancora di ogni trip mentale, la vita, ad ogni livello, è fatta di energia. Diventare Terra, Acqua,
Aria e Fuoco è annullare la distanza fra noi e la vita stessa.
La danza, nella sua forma
consapevole e celebrativa è il mezzo perfetto per entrare in questa dimensione.
Il corpo è Terra, Acqua, Aria e Fuoco. Qualunque cosa pensiamo di noi il corpo
ha la propria verità molto più antica in quanto in esso si riassume l’intera
evoluzione della vita su questo pianeta. Nella danza, la linea di comando che
va dalla mente al corpo si inverte. Non è più il corpo che segue le decisioni
della mente ma quest’ultima che si immerge nell’esperienza del corpo. E così,
al pari del corpo, anche la mente diventa Terra, Acqua, Aria e Fuoco. Smettiamo
di osservare la vita al microscopio e ci fondiamo con essa. Non osserviamo più
noi stessi dall’esterno con gli occhi degli altri, ma impariamo a viverci dal
dentro.
Ecco perché danzare i 4 elementi…eppure c’è molto
altro. Ma l’unico modo per saperlo è danzare.
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