L’immagine che abbiamo di noi è
essenzialmente fondata sul giudizio. I parametri sono quelli collettivi a cui
siamo stati abituati sin dalla tenera età: bellezza, intelligenza, astuzia,
intraprendenza, forza, bontà, ecc... Come se non bastasse aggiungiamo spesso 2
super-categorie con cui vogliamo sommariamente fare ordine nella nostra mente: la
super-categoria dei vincenti e quella dei perdenti. A quale delle due
appartieni? O in che percentuale appartieni alla prima e quanto alla seconda?
Anche quando ci riteniamo “oltre”, perché “spiritualmente evoluti”, nel nostro
intimo percepiamo un senso di soddisfazione o frustrazione in relazione ad un
certo successo sociale, nel lavoro, nelle relazioni, in ambito economico ecc..
Probabilmente la parola vincente o perdente non fa parte del nostro vocabolario,
l’abbiamo rimossa per ragioni estetiche ed ideologiche, ma un giudizio
implicito, non espresso verbalmente, pende su di noi.
La felicità è il desiderio base di tutti
gli esseri sensienti, così affermava il Budda. Ma essere felici ed essere
vincenti (secondo il modello collettivo) sono due cose profondamente diverse
sebbene siamo stati abituati a credere il contrario. La felicità è direttamente
connessa con l’espressione creativa della nostra natura profonda, con quanta
più vita siamo in grado di far scorre in noi.
Vi sono quindi miti collettivi, quelli
proposti dalla società, il cui inseguimento e raggiungimento producono, nel migliore
dei casi, un breve lampo di felicità. Sono nutrimento dell’ego la cui fame è
però insaziabile. Vi è al contrario un mito naturale, presente in ciascuno di
noi, che racchiude la missione dell’Anima. Ha a che fare con l’attuazione dei
nostri potenziali interiori. Non ci vede come individui separati in
competizione gli uni con gli altri ma come parti di un tutto. E’ il vero mito
che dovremmo perseguire. La cosa fantastica è che ciascuno ha il suo perché ognuno
di noi è un progetto unico ed irripetibile. Questo mito naturale è descritto
nella carta natale astrologica individuale e si manifesta nell’insieme dei
bisogni profondi che possiamo cominciare a percepire nel momento in cui ci
purifichiamo dai miti collettivi. Una tappa di questo mito è ciò che Ken Wilber
definisce come stato di coscienza del centauro, la figura mitologica metà
cavallo e metà umano spesso rappresentata nell’atto di scoccare una freccia. Il
centauro identifica la condizione di perfetta integrazione fra istinti (la
parte del corpo che corrisponde al cavallo), emozioni e intelletto (la parte
umana) per il raggiungimento della meta spirituale (la direzione verso cui
viene scoccata la freccia). Istinto, emozioni, pensiero e spirito sono anche
rappresentati dai 4 elementi nella successione di Terra, Acqua, Aria e Fuoco.
Ciascuno ha la propria miscela naturale di queste forme basiche di energia. Attivare
i 4 elementi significa pertanto aprirci all’interezza ed uscire dallo stretto
ambito delle categorie in cui ci siamo e siamo stati identificati. Diventare Terra,
Acqua, Aria e Fuoco è ampliare lo spettro delle nostre potenzialità, è vivere
noi stessi come un microcosmo in relazione con il macrocosmo. E’ un passo chiave
verso l’integrazione.
Nella danza vi è un naturale equilibrio
fra i 4 elementi. Il corpo, le emozioni, il pensiero e le nostre istanze
esistenziali sono presenti in una relazione creativa. Danzare i 4 elementi è evocare
la figura del centauro, è sentire dove siamo ed avere chiaro dove andare.
Nessun commento:
Posta un commento