giovedì 17 gennaio 2019

Dal mito collettivo al mito naturale



L’immagine che abbiamo di noi è essenzialmente fondata sul giudizio. I parametri sono quelli collettivi a cui siamo stati abituati sin dalla tenera età: bellezza, intelligenza, astuzia, intraprendenza, forza, bontà, ecc... Come se non bastasse aggiungiamo spesso 2 super-categorie con cui vogliamo sommariamente fare ordine nella nostra mente: la super-categoria dei vincenti e quella dei perdenti. A quale delle due appartieni? O in che percentuale appartieni alla prima e quanto alla seconda? Anche quando ci riteniamo “oltre”, perché “spiritualmente evoluti”, nel nostro intimo percepiamo un senso di soddisfazione o frustrazione in relazione ad un certo successo sociale, nel lavoro, nelle relazioni, in ambito economico ecc.. Probabilmente la parola vincente o perdente non fa parte del nostro vocabolario, l’abbiamo rimossa per ragioni estetiche ed ideologiche, ma un giudizio implicito, non espresso verbalmente, pende su di noi.
La felicità è il desiderio base di tutti gli esseri sensienti, così affermava il Budda. Ma essere felici ed essere vincenti (secondo il modello collettivo) sono due cose profondamente diverse sebbene siamo stati abituati a credere il contrario. La felicità è direttamente connessa con l’espressione creativa della nostra natura profonda, con quanta più vita siamo in grado di far scorre in noi.
Vi sono quindi miti collettivi, quelli proposti dalla società, il cui inseguimento e raggiungimento producono, nel migliore dei casi, un breve lampo di felicità. Sono nutrimento dell’ego la cui fame è però insaziabile. Vi è al contrario un mito naturale, presente in ciascuno di noi, che racchiude la missione dell’Anima. Ha a che fare con l’attuazione dei nostri potenziali interiori. Non ci vede come individui separati in competizione gli uni con gli altri ma come parti di un tutto. E’ il vero mito che dovremmo perseguire. La cosa fantastica è che ciascuno ha il suo perché ognuno di noi è un progetto unico ed irripetibile. Questo mito naturale è descritto nella carta natale astrologica individuale e si manifesta nell’insieme dei bisogni profondi che possiamo cominciare a percepire nel momento in cui ci purifichiamo dai miti collettivi. Una tappa di questo mito è ciò che Ken Wilber definisce come stato di coscienza del centauro, la figura mitologica metà cavallo e metà umano spesso rappresentata nell’atto di scoccare una freccia. Il centauro identifica la condizione di perfetta integrazione fra istinti (la parte del corpo che corrisponde al cavallo), emozioni e intelletto (la parte umana) per il raggiungimento della meta spirituale (la direzione verso cui viene scoccata la freccia). Istinto, emozioni, pensiero e spirito sono anche rappresentati dai 4 elementi nella successione di Terra, Acqua, Aria e Fuoco. Ciascuno ha la propria miscela naturale di queste forme basiche di energia. Attivare i 4 elementi significa pertanto aprirci all’interezza ed uscire dallo stretto ambito delle categorie in cui ci siamo e siamo stati identificati. Diventare Terra, Acqua, Aria e Fuoco è ampliare lo spettro delle nostre potenzialità, è vivere noi stessi come un microcosmo in relazione con il macrocosmo. E’ un passo chiave verso l’integrazione.
Nella danza vi è un naturale equilibrio fra i 4 elementi. Il corpo, le emozioni, il pensiero e le nostre istanze esistenziali sono presenti in una relazione creativa. Danzare i 4 elementi è evocare la figura del centauro, è sentire dove siamo ed avere chiaro dove andare.




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