mercoledì 5 agosto 2020

Riscattare la parte cosmica che è in noi, parte 3: Purificare con piacere

Purificazione

Nel mio percorso ho incontrato alcuni Maestri ed il loro insegnamento è per me una grossa risorsa. Quando mi sento perso ritorno a questi insegnamenti e con essi riesco a ritrovare il mio centro. Fra questi uno dei più importanti è che la crescita individuale è essenzialmente un togliere ciò che non serve. 
Siamo abituati a pensare che quando vogliamo ottenere un risultato ci debba essere qualche competenza nuova da acquisire. Difficile concepire che acquisire vada di pari passo con il togliere. Ma effettivamente nei processi di crescita e di espressione dei potenziali interiori il punto da cui partire è togliere ciò che è di ostacolo. Nell’antica arte dell’alchimia questa fase si chiama “Solutio”, vale a dire dissolvere, sciogliere per tornare ad una condizione di purezza iniziale da cui far partire un processo creativo di costruzione in linea con le leggi naturali, con le necessità profonde della nostra anima. 
Consideriamo un qualsiasi motore, se nei suoi meccanismi sono annidate incrostazioni è praticamente inutile se non addirittura dannoso inserire un carburante potente. Occorre prima di tutto ripulire il motore, lubrificarlo. Solo allora sarà in grado di esprimere tutta la sua potenza. 
Uno degli obiettivi della pratica dello yoga è lubrificare il nostro movimento dentro la vita, eliminare le incrostazioni che ci frenano e producono attrito. Queste incrostazioni sono ad ogni livello, fisico, energetico, emotivo, intellettuale e così via. Per questo il processo di purificazione deve essere integrale. Ma prima di tutto andiamo a rimuovere alcuni pregiudizi

Purificarci dalla falsa assunsione che i processi di crescita siano per forza dolorosi

Secondo il Budda tutti gli esseri sensienti su questo universo cercano la felicità. Dai microorganismi alle forme più complesse per arrivare all’uomo tutto si muove in questa direzione. O meglio, tutto ha questa motivazione perchè, soprattutto negli esserei umani, ciò che poi andiamo a generare ci porta raramente ad una condizione di maggior felicità e pienezza dell’essere. Qualisiasi processo di crescita deve quindi aiutarci ad accedere ad una condizione di maggior realizzazione e felicità. Ma se questa è la destinazione può il percorso essere fatto di sofferenza e martirio? Evidentemente no! Il percorso deve avere la stessa qualità della meta, o in altre parole, il percorso è già la meta.
Le persone che soffrono di disturbo bipolare vengono curate perchè non è un bel vivere. Ritenere che in questa vita si debba soffrire per avere poi una ricompensa finale, magari tra un po’ di tempo e forse addirittura nell’aldilà, è una forma di disturbo bipolare della nostra cultura. Cioè soffri soffri soffri ...per poi d’improvviso ritrovarti felice? E’ così che funziona? No, questo è un disturbo bipolare. Un percorso che ti orienta verso una condizione di maggior felicità, realizzazione dei tuoi potenziali e pienezza dell’essere deve, da subito, offrirti queste qualità.
Qualcuno potrebbe obiettare che la storia è piena di esempi di persone che per ottenere un certo traguardo nel mondo politico, lavorativo, sportivo hanno dovuto faticare molto. Questo è un punto diverso che non deve creare confusione. Essere felice non significa che non ci si debba impegnare a superare i propri limiti, che ciò non richieda disciplina e sforzo. Al contrario, rimuovere la pigrizia ed altre cattive abitudini richiede forza di volontà ed applicazione costante. C’è una sorta di attrito iniziale da superare ma nel giro di poco tempo gli effetti benefici della pratica devono farsi sentire, il benessere che ne deriva deve vincere sempre di più su tutto il resto. Ad esempio, iniziare a praticare yoga è faticoso ma quasi da subito se ne sentirà il benessere a livello fisico, emotivo e mentale. Se non è così stiamo sbagliando qualcosa.
Ma c’è un altro punto ancora più insidioso su cui è importante fare luce. Ritorniamo sull’esempio di colui o colei che si impegna con grandi sacrifici per ottenere un certo traguardo, ad esempio nel mondo del lavoro. Possono accadere varie cose spiacevoli. La prima è che il traguardo non venga raggiunto, quindi ogni sforzo sia vanificato, la fatica e l’impegno non vengano ricompensati. In altre parole: nuova sofferenza. Ma questo non è neanche lo scenario peggiore. Supponiamo infatti che il traguardo venga raggiunto, che finalmente si ottenga quello per cui abbiamo lottato tanto per poi accorgerci che non ci rende felici. Che succede in questo caso? Una volta ho letto che non c’è niente di più triste che in punto di morte rendersi conto di avere passato tutta la vita a scalare la montagna sbagliata.
In altre parole non possiamo eliminare dalla pratica la fase di ascolto profondo. Il percorso deve gradualmente mettere in essere il nostro potenziale interiore ed offrirci un costante e crescente senso di felicità. Solo in questo modo non ci saranno brutte sorprese. Ma questo significa anche depurarci dai falsi miti che la società ci propone ed accedere al proprio mito naturale. Questo significa che il piacere deve essere una componente chiave del nostro percorso.
Il piacere? Santo cielo, ma dove andiamo a finire?

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