lunedì 24 agosto 2020

L'astrologia come disciplina della mente

 


Quando si parla di sviluppo integrale dell’essere umano occorre includere anche la mente. Per molti secoli l’intelletto è stato considerato la parte nobile di ciascuno di noi in contrapposizione alla parte più animale connessa con la fisicità, gli istinti e le emozioni. Negli ultimi decenni si è visto un rovesciamento di questo paradigma e la mente è diventata il problema mentre la pancia sembra essere in grado di dirti cosa realmente accade. Da sempre preferisco il punto di vista dello yoga, che nella sua visione integrale, vede la dimensione intellettiva, psicologica, energetica e fisica come corpi che interagiscono. Quindi la mente è anch’essa un corpo al pari di quello fatto di carne e ossa. E nello yoga ogni corpo va inteso come veicolo di manifestazione ed apprendimento dell’anima. In una certa pratica spirituale c’è una frase che viene ripetuta e che dice “non sono il corpo e non sono nemmeno la mente” ricordando quindi che entrambi sono strumenti che mi appartengono. E così come è giusto che il mio corpo venga tenuto in buona salute così anche per la mente deve valere la stessa attenzione. Se esiste una disciplina per il corpo deve esisterne una anche per la mente. Naturalmente questo può essere fatto in molti modi ma è importante non perdere di vista il fine, l’emancipazione dell’anima. Si può infatti diventare grandi intellettuali ma non essere in contatto con la vita. Vediamo quindi quali sono alcune qualità che è importante sviluppare a livello della mente e come l’astrologia possa essere uno strumento molto adatto in questo processo.

Sviluppare una visione olistica ed integrale. Rispetto alla tendenza ad osservare la vita per compartimenti stagni la mente deve diventare sempre più spaziosa e cogliere connessioni con il tutto. Deve renderci consapevole del fatto che non siamo entità separate ma parti di un tutto. La carta astrologica di nascita è un mandala e come tale mostra un universo interiore connesso  con l’universo in cui viviamo.

Porre l’accento su ciò che potremmo essere. A meno di non essere dei ragazzini abbiamo tutti la pretesa di conoscerci bene e quando ci identifichiamo con ciò che conosciamo automaticamente limitiamo il nostro orizzonte, creiamo una nostra riserva indiana e ci confiniamo lì dentro. La crescita interiore avviene nel momento stesso in cui ci accettiamo come mistero, come infinito potenziale latente che non aspetta altro che fiorire e svelarsi al mondo. Contrariamente a quanto si pensa comunemente, l’astrologia non è uno strumento per catalogare le persone nè, tanto meno, per prevedere ciò che accadrà in futuro. Lo scopo reale è aiutarci a comprendere i nostri potenziali nascosti e ciò che potremmo essere. L’enfasi é su ciò che ancora non conosciamo di noi, quelle parti di cui, forse, abbiamo sentore ma che non sono ancora emerse pienamente alla nostra coscienza.

Porre l’accento sull’opportunità e non sul problema. A nessuno piace trovarsi nei guai, passare momenti di sofferenza e di cambiamento drastico ma certe cose accadono, non possiamo schivarle tutte. Queste situazioni, nel momento stesso in cui mettono in crisi un precedente equilibrio, sono anche grandi opportunità di cambiamento ed evoluzione. Se riusciamo a vedere ogni evento nella sua natura simbolica ne comprendiamo anche il valore evolutivo. La carta natale ha una natura archetipica ed è quindi in grado di suggerire molti livelli di lettura della realtà. E quando abbiamo questa capacità non siamo più incatenati a vivere quel certo evento nell’unico modo in cui culturalmente siamo abituati a fare. In altre parole, l’accesso al livello simbolico aiuta a guadagnare libertà.

Ricordarci che abbiamo una missione. E’ facile perdersi, anzi lo facciamo ogni giorno. La nostra vita quotidiana, nel suo incessante incedere di eventi, faccende, appuntamenti, problemi, orari da rispettare, scandenze può diventare un semplice contenitore di tutto questo via vai. Possiamo perdere la strada e forse neanche ricordarci più che ne abbiamo una. La carta natale è la mappa del viaggio dell’anima. Mostra una connessione diretta fra la nostra vita quotidiana e la missione spirituale, ci ricorda che abbiamo una natura cosmica.

Sviluppare un pensiero sintetico e visuale. La carta natale è un disegno che si sviluppa all’interno di un cerchio. Al pari di come il nostro emisfero sinistro è maggiormente portato a seguire processi analitici, così il nostro emisfero destro ha una maggiore capacità sintetica, simbolica e visuale. Quante volte un’immagine ci dice di più di mille parole? Gli esperti di pubblicità conoscono perfettamente questa realtà. Ciò nonostante siamo abituati a pensare che le cose si capiscono razionalmente, seguendo un filo logico. La carta natale al contrario suggerisce di guardare alla nostra vita come ad un disegno, nel senso letterale del termine. In un disegno c’è movimento, aggregazione, direzione, addensamento e vuoti e tutto può essere colto all’istante. Questa è anche la spinta evolutiva e spirituale dell’arte. La carta natale ci ricorda che ognuno di noi è un’opera d’arte.

L'astrologia è disciplina per la mente!

giovedì 20 agosto 2020

The cosmic X-Factor Got Talents

 

Al mio primo Maestro piaceva uno slogan che ripeteva con una certa frequenza “fai della tua vita un’opera d’arte”. Tutt’ora questo insegnamento è molto importante per me perchè l’arte non è routine, non è compromesso, non è sopravvivenza. Arte è aggiungere bellezza al mondo e nel caso della propria vita è fare in modo che essa esprima veramente l’essenza di ciò che siamo.
Indubbiamente viviamo con un bagaglio culturale pesante perchè la vita di molti grandi artisti è segnata dal caos, dal delirio, dalla sregolatezza, dal suicidio e spesso l’arte ed il genio sono associati alla trasgressione. Solo però ciò che è convenzionale può essere trasgredito, niente di ciò che rientra nelle leggi naturali può esserlo. Una regola morale, una legge può essere trasgredita ma prova a trasgredire la forza di gravità e vediamo cosa succede. Prova ad andare sul cornicione di un edificio molto alto e lanciarti nel vuoto per vedere se vinci te o i principi che regolano da miliardi di anni questo universo. Come ti direbbe Alice Cooper:

Hey, hey, hey, hey, hey stooped     (Ehi, ehi, ehi, ehi, ehi stupido)
What ya tryin' to do     (Cosa stai cercando di fare)
Hey, hey, hey, hey, hey stooped     (Ehi, ehi, ehi, ehi, ehi stupido)
They win you lose     (Loro vincono, tu perdi )

L’arte vuol toccare il vero, al di là dell’apparenza. La trasgressione nasce dal bisogno di liberare la nostra anima dalle gabbie nella quale è rinchiusa. Ma l’anima è libera quando la nostra vita si allinea con la “necessità cosmica” che ci ha fatto nascere su questo piano di esistenza. Altrimenti, loro vincono e tu perdi.

Possiamo poi pensare che in noi non ci sia niente di artistico e di creativo. Questa è un’altra balla che il nostro percorso esistenziale in complicità con il sistema educativo ci ha fatto credere. Ognuno di noi è un progetto unico ed irripetibile la cui espressione non si misura con i parametri convenzionali. Su questo sì che bisogna essere trasgressivi, nel modo in cui si misura il successo e l’atto creativo in sè.
Molto prima che qualcuno lo trasformasse in uno show televisivo il vero“X-Factor, got talents” esisteva già nel mondo, potremmo dire da tempo immemorabile. Più che un programma televisivo in cerca di nuovi talenti nel mondo dello spettacolo potremmo definirlo  una chiamata cosmica per reclutare persone intenzionate a realizzare se stesse.  E si sa che quando qualcuno fa suonare le corde della propria anima diventa terribilmente contagioso. Questo è il vero successo!

giovedì 13 agosto 2020

Riscattare la nostra dimensione cosmica, parte 6: Il seme, il brutto anatroccolo e la funzione dell’astrologia

 

Il seme, il brutto anatroccolo e la funzione dell’astrologia

Prendiamo un seme e piantiamolo nel terreno adatto. Se le condizioni ambientali saranno quelle ideali la pianta si svilupperà raggiungendo il suo massimo sviluppo. Tutto il potenziale genetico presente nel seme si andrà a manifestare. Se la pianta potesse avere una coscienza individuale e fosse dotata di parola ci direbbe che si sente pienamente realizzata, in fondo è nata per quello. Inoltre, il pieno sviluppo della pianta è totalmente funzionale all’ambiente. Naturalmente, se gli ecofattori non saranno quelli adatti, la pianta andrà a sviluppare solo in parte il proprio potenziale genetico, parte di esso rimarrà inespresso. La pianta non cambierrebe genere, non muterebbe in qualcosa di diverso, sarebbe la stessa di prima ma meno sviluppata. Possiamo azzardarci a dire che in questo caso sarebbe un po’ meno felice non sentendosi completamente realizzata? Dai, sì, io credo si possa dire.

Quanti esseri umani si sentono pienamente realizzati? Quanti di noi hanno nutrito il proprio potenziale dando piena espressione ad esso? Quanto la nostra formazione nell’ambito familiare, culturale, religioso è stata orientata a dare a ciascuno di noi gli eco fattori positivi in accordo con la nostra natura inividuale e quanto invece siamo stati inseriti in un meccanismo con valori standard uguali per tutti? Quanto il giudizio sulle nostre capacità, misurato rispetto ai suddetti valori standard, ha pesato sulle nostre scelte e su gli obiettivi che ci siamo posti? Quanto ci sentiamo pienamente realizzati e quindi felici? Siamo sicuri che la nostra vita rifletta ciò potremmo essere?

Una delle prime fiabe che ho letto è stata “Il brutto anatroccolo” di Hans Christian Andersen. Puoi essere un cigno ma se lo standard di riferimento è quella di un’anatra risulti brutto. In realtà siamo tutti dei cigni, ognuno a suo modo, in un mondo costruito per anatre.

Come si sentirebbe una quercia se fosse costretta a diventare un albero di limoni? Cosa accadrebbe se venisse inserita in una serra ed “uniformata” a tutte le altre piante? Fortunatamente per lei diventerebbe comunque una quercia, magari un po’ sofferente per la mancanza di spazio e per le costanti potature non idonee alla sua struttura.

Per noi esseri umani, purtroppo, la spinta istintuale ad essere comunque la nostra vera natura deve farsi largo in una fitta selva di sovrastrutture culturali ed alla fine ne usciamo “quasi” tutti camuffati in qualcos’altro. Il libero arbitrio e la nostra capacità di scegliere diventa una sorta di arma a doppio taglio perchè capace di occultare la spinta naturale che viene dal profondo. Ciò che è un dono, un salto quantico nel processo di evoluzione della vita ci ostacola nell’essere felici. Poi, intendiamoci, c’è anche un certo John Stuart Mill, filosofo del XIX secolo, che sostiene ”è  meglio essere un uomo malcontento che un maiale soddisfatto, essere Socrate infelice piuttosto che un imbecille contento, e se l'imbecille e il maiale sono d'altro avviso ciò dipende dal fatto che vedono solo un lato della questione”. Ok, sono punti di vista, io credo sia meglio diventare esseri umani felici e pienamente realizzati.

Per molto tempo siamo stati educati a dare valore alla ragione rispetto alle emozioni ed agli istinti. Poi, negli ultimi anni, c’è stata la riscoperta di ciò che si sente a livello di “pancia” e la mente è diventata il nemico da combattere. Questo approccio bipolare non funziona. Abbiamo bisogno di tutto ciò che è in nostro possesso, per questo serve una disciplina integrale. Il problema non sta nella mente, come non sta nelle emozioni nè nell'istinto. Il problema è che non abbiamo un centro consapevole, siamo indentificati con le nostre storie e non centrati nell’anima e con il progetto originario per cui siamo qui. La mente è diventata il problema perchè l'abbiamo assunta a funzione di leader quando è semplicemente uno strumento, al pari di tutto il resto, per adempiere alla missione dell'anima.

La disciplina integrale del processo alchemico si muove su più livelli, dal piano fisico a quello spirituale. Uno degli obiettivi, ma ovviamente non l’unico, è quello di offrire nuovi scenari per quanto riguarda la nostra esistenza. Siamo ingabbiati nelle nostre storie individuali e quindi non accediamo al potenziale interiore, non diamo voce al mito naturale che è in noi. Lo scopo dell’astrologia, nel suo approccio spirituale, è offrirci questa visione creativa, mitologica e trascendente di noi stessi. E’ facilitare lo spostamento del baricentro della nostra coscienza dalla persona all’anima. E’ riconnetterci con la missione originaria e ciò che potremmo essere.


martedì 11 agosto 2020

Riscattare la nostra dimensione cosmica, parte 5: la chiamata dell'anima e l'astrologia spirituale

 

Se vogliamo riscattare la nostra dimensione cosmica dobbiamo veramente fare un salto di qualità. La relazione fra la missione dell’anima e l’universo che ci circonda è il cuore dell’astrologia spirituale. Ma se abbiamo in mente l’oroscopia o l’uso che si fa dei segni astrologici nell’apporccio comune, bene, siamo distanti mille miglia.

Per prima cosa dobbiamo essere chiari su ciò che stiamo cercando ma, soprattutto, su cosa NON stiamo cercando. Di sicuro non stiamo tentando di prevedere il futuro ma, al contrario, di intensificare l’esperienza del qui ed ora. Quindi, qualunque approccio cerchi di capire cosa potrebbe accadermi, cosa mi è accaduto in passato, quanto dura un certo transito ecc..non può funzionare. Verrebbe posto l’accento sul tempo durata rafforzando la mia identificazione con la mente egoica. L'io illusorio, ciò che noi pensiamo di essere in termini di storia personale, è esattamente la causa della nostra infelicità e quindi è ciò che vogliamo dissolvere e non certo amplificare. Questo io illusorio vive nel tempo psicologico, muovendosi constantemente tra passato e futuro, mosso da attaccamento e paura. Al contrario, la sorgente spirituale e vitale con la quale vogliamo entrare in contatto dimora nell’eterno presente e fa parte della grande rete della vita. In altri termini, il processo alchemico è uno spostamento del baricentro della coscienza dall’io illusorio e separato al centro dell’essere in relazione creativa con il tutto. L’astrologia spirituale è uno strumento al servizio di questo processo. Deve aprire varchi per intuizioni profonde sulla nostra vera natura, facilitare il processo creativo di attuazione dei nostri potenziali interiori. 

La cosa peggiore che può fare l’astrologia è aggiungere illusione all’illusione, allontanarci dalla vita reale ancora di più di quanto non lo siamo già. Per questo è necessaria una grande disciplina ed autentica motivazione. Il counselling astrologico non può essere svolto per pura curiosità. Quest’ultima non è una motivazione sufficientemente potente per aprire le porte dell’anima. Ci deve essere una chiamata dal profondo ed il modo in cui questo può avvenire è, in genere, un vero esempio di creatività. Può manifestarsi nella forma di una certa stanchezza del vivere, noia nel frequentare gli stessi posti e le stesse persone, depressione, assenza di senso di realizzazione, non riconoscersi più in quello che facciamo. Può accompagnarsi ad eventi di repentino cambio di vita, come una separazione. Insomma, qualcosa che prima c’era e che adesso non c’è più o che non è più fuzionale per la nostra felicità. Un equilibrio (illusorio) che viene infranto.

Da qualche parte, molto tempo fa, lessi che il problema è il metodo didattico di questo universo. Un sacerdote invece mi fece notare che ogni ferita può essere una feritoia da cui scorgere Dio. E’ tutto vero e l’ho sperimentato di persona, ma preferisco la visione offerta dallo yoga: l’auto-disciplina è la via alternativa agli eventi traumatici. Quindi, il risveglio spirituale può iniziare da un problema ma poi il processo è sostenuto da una pratica consapevole e giornaliera. E l’astrologia rientra nelle discipline che sostengono il processo di cambiamento.


venerdì 7 agosto 2020

Riscattare la parte cosmica che è in noi, parte 4: possa la tua natura interiore sbocciare completamente per portare bellezza e fragranza nel mondo

 

Cos’è che conta nella nostra vita? Ognuno può avere la propria risposta, e forse neanche sapere rispondere ma in realtà alla radice di tutto c'è solo una cosa che conta: la felicità. In un modo o nell’altro tutti cerchiamo la felicità. Quindi cosa conta nella vita di ognuno di noi? Essere felici! Ogni altra risposta è solo una declinazione di quest’unica verità. E ciò non vale solo per noi esseri umani ma per ogni essere vivente.

Possiamo a questo punto rovesciare la domanda. Cosa serve per essere felici? Comprendere ciò che conta nella nostra vita, realizzare consapevolment quello per cui siamo nati.

Nelle culture di tutti i tempi e luoghi esiste il concetto di cosa dà un senso alla vita. Nella cultura giapponese esiste la parola ikigai  (iki-vivere, gai-ragione). Seguire il proprio ikigai è dare senso alla propria esistenza, è realizzare pienamente ciò che siamo, è vivere per ciò che conta veramente.

Con alcune differenti sfumature troviamo lo stesso concetto in altre regioni del mondo. Nella cultura dell’India si parla di Dharma, come l’insieme delle leggi cosmiche che regolano la vita di ognuno di noi e di tutto l’universo. La realizzazione di ciò che siamo non può che essere un allineamento della nostra vita in relazione al nostro Dharma.

Aristotele parla di Entelechia riferendosi ad una sorta di finalità intrinseca dentro ogni cosa, una “Causa Finale” verso cui tutto tende.

Altro termine è Daimon: da Platone a James Hillman vi sono filosofi e psicologi che sostengono che siamo chiamati a decifrare il codice della nostra anima, affinché possiamo cogliere il senso compiuto della nostra presenza nel mondo.

Si potrebbe continuare a lungo ma voglio alla fine citare quello che alcuni “life coach” odierni di fama mondiale sostengono per avere successo nella vita, sia in senso molto pratico come ad esempio nel mondo del lavoro, ma anche come puro senso di auto-realizzazione. Tutti parlano dell’importanza di “coltivare una visione” ed essere sempre focalizzati su essa.

A me piace parlare di “missione dell’anima

Comunque la si veda, dalla visione più metafisica a quella più pratica, è veramente importante scoprie il senso della nostra esistenza ed allineare la nostra vita in questa direzione. Come sostiene Socrate “una vita senza ricerche non è degna per l'uomo di essere vissuta”.

La prima cosa importante è quindi che venga resa esplicita la domanda: “qual’è il senso, lo scopo, la missione della mia vita?”. Perchè il primo e più eclatante fenomeno che osserviamo è che lo stile di vita della nostra società non consente di elaborare questo tema esistenziale. La costante e stretta sequenza di impegni, cose da fare, problemi da risolvere tendono ad oscurare questa domanda esistenziale di fondo. Questo atto di oscuramento avviene in due modi: il primo è non dare sufficiente tempo alla domanda perchè c’è sempre qualcosa di più urgente da fare. Il secondo, ancora più insidioso, è offrirti già una risposta pre-confezionata. Il senso della vita è avere successo economico, viaggiare per il mondo, avere una famiglia felice, avere una vita trasgressiva e piena di eccessi, godersela infischiandosene di tutto e tutti e così via. Sono tutti stereotipi e falsi miti. E questo non perchè avere una famiglia felice o successo economico sia sbagliato. Il falso deriva dal fatto che viene azzerata la diversità e ricchezza di ciascuno di noi, non si prende in considerazione che ciascuno di noi è un progetto unico ed irripetibile.

Quante scelte facciamo in base ad una vera consapevolezza di ciò che siamo e di ciò che potremmo essere e quante invece sulla base un forte “suggerimento” che ci arriva dalla famiglia di origine, dalla cultura e religione da cui proveniamo?

Riscattare la nostra dimensione cosmica significa quindi scoprire la nostra vocazione, la missione dell’anima, dar vita ai nostri potenziali interiori, seguire il nostro ikigai. O come dice un Maestro che seguo “possa la tua natura interiore sbocciare completamente per portare bellezza e fragranza nel mondo”. Questo è il destino verso quale tendere. Ed ha una sua natura cosmica!


mercoledì 5 agosto 2020

Riscattare la parte cosmica che è in noi, parte 3: Purificare con piacere

Purificazione

Nel mio percorso ho incontrato alcuni Maestri ed il loro insegnamento è per me una grossa risorsa. Quando mi sento perso ritorno a questi insegnamenti e con essi riesco a ritrovare il mio centro. Fra questi uno dei più importanti è che la crescita individuale è essenzialmente un togliere ciò che non serve. 
Siamo abituati a pensare che quando vogliamo ottenere un risultato ci debba essere qualche competenza nuova da acquisire. Difficile concepire che acquisire vada di pari passo con il togliere. Ma effettivamente nei processi di crescita e di espressione dei potenziali interiori il punto da cui partire è togliere ciò che è di ostacolo. Nell’antica arte dell’alchimia questa fase si chiama “Solutio”, vale a dire dissolvere, sciogliere per tornare ad una condizione di purezza iniziale da cui far partire un processo creativo di costruzione in linea con le leggi naturali, con le necessità profonde della nostra anima. 
Consideriamo un qualsiasi motore, se nei suoi meccanismi sono annidate incrostazioni è praticamente inutile se non addirittura dannoso inserire un carburante potente. Occorre prima di tutto ripulire il motore, lubrificarlo. Solo allora sarà in grado di esprimere tutta la sua potenza. 
Uno degli obiettivi della pratica dello yoga è lubrificare il nostro movimento dentro la vita, eliminare le incrostazioni che ci frenano e producono attrito. Queste incrostazioni sono ad ogni livello, fisico, energetico, emotivo, intellettuale e così via. Per questo il processo di purificazione deve essere integrale. Ma prima di tutto andiamo a rimuovere alcuni pregiudizi

Purificarci dalla falsa assunsione che i processi di crescita siano per forza dolorosi

Secondo il Budda tutti gli esseri sensienti su questo universo cercano la felicità. Dai microorganismi alle forme più complesse per arrivare all’uomo tutto si muove in questa direzione. O meglio, tutto ha questa motivazione perchè, soprattutto negli esserei umani, ciò che poi andiamo a generare ci porta raramente ad una condizione di maggior felicità e pienezza dell’essere. Qualisiasi processo di crescita deve quindi aiutarci ad accedere ad una condizione di maggior realizzazione e felicità. Ma se questa è la destinazione può il percorso essere fatto di sofferenza e martirio? Evidentemente no! Il percorso deve avere la stessa qualità della meta, o in altre parole, il percorso è già la meta.
Le persone che soffrono di disturbo bipolare vengono curate perchè non è un bel vivere. Ritenere che in questa vita si debba soffrire per avere poi una ricompensa finale, magari tra un po’ di tempo e forse addirittura nell’aldilà, è una forma di disturbo bipolare della nostra cultura. Cioè soffri soffri soffri ...per poi d’improvviso ritrovarti felice? E’ così che funziona? No, questo è un disturbo bipolare. Un percorso che ti orienta verso una condizione di maggior felicità, realizzazione dei tuoi potenziali e pienezza dell’essere deve, da subito, offrirti queste qualità.
Qualcuno potrebbe obiettare che la storia è piena di esempi di persone che per ottenere un certo traguardo nel mondo politico, lavorativo, sportivo hanno dovuto faticare molto. Questo è un punto diverso che non deve creare confusione. Essere felice non significa che non ci si debba impegnare a superare i propri limiti, che ciò non richieda disciplina e sforzo. Al contrario, rimuovere la pigrizia ed altre cattive abitudini richiede forza di volontà ed applicazione costante. C’è una sorta di attrito iniziale da superare ma nel giro di poco tempo gli effetti benefici della pratica devono farsi sentire, il benessere che ne deriva deve vincere sempre di più su tutto il resto. Ad esempio, iniziare a praticare yoga è faticoso ma quasi da subito se ne sentirà il benessere a livello fisico, emotivo e mentale. Se non è così stiamo sbagliando qualcosa.
Ma c’è un altro punto ancora più insidioso su cui è importante fare luce. Ritorniamo sull’esempio di colui o colei che si impegna con grandi sacrifici per ottenere un certo traguardo, ad esempio nel mondo del lavoro. Possono accadere varie cose spiacevoli. La prima è che il traguardo non venga raggiunto, quindi ogni sforzo sia vanificato, la fatica e l’impegno non vengano ricompensati. In altre parole: nuova sofferenza. Ma questo non è neanche lo scenario peggiore. Supponiamo infatti che il traguardo venga raggiunto, che finalmente si ottenga quello per cui abbiamo lottato tanto per poi accorgerci che non ci rende felici. Che succede in questo caso? Una volta ho letto che non c’è niente di più triste che in punto di morte rendersi conto di avere passato tutta la vita a scalare la montagna sbagliata.
In altre parole non possiamo eliminare dalla pratica la fase di ascolto profondo. Il percorso deve gradualmente mettere in essere il nostro potenziale interiore ed offrirci un costante e crescente senso di felicità. Solo in questo modo non ci saranno brutte sorprese. Ma questo significa anche depurarci dai falsi miti che la società ci propone ed accedere al proprio mito naturale. Questo significa che il piacere deve essere una componente chiave del nostro percorso.
Il piacere? Santo cielo, ma dove andiamo a finire?

lunedì 3 agosto 2020

Riscattare la parte cosmica che è in noi, parte 2: il ricordo profondo di noi stessi


Il ricordo profondo di noi stessi

Il mio primo Maestro definiva lo yoga “il ricordo profondo di se stessi”. Per yoga non si intende la pratica delle posizioni così come comunente è conosciuta questa disciplina. Si tratta piuttosto di un sistema di sperimentazione integrale di chi siamo che usa varie tecnologie. Ma vedremo questo in seguito.
La parola yoga significa “unione”, unione con la Sorgente. Il ricordo profondo di noi stessi è quindi l’atto di reintegrazione cosciente con la sorgente. La causa di ogni sofferenza sta infatti nel dare valore alla falsa identificazione con la persona che siamo. In pratica nel momento in cui siamo disconnessi dalla fonte ci aggrappiamo all’immagine di noi così come ci proviene di riflesso dal mondo esterno. Diventiamo la nostra storia e non più l’espressione del nostro potenziale interiore. Viviamo nel palcoscenico dei nostri drammi psicologici e non più nel mondo reale dove abita la vita. Ci muoviamo in un mondo interpretato da una mente condizionata dal pensiero collettivo, un mondo privo di magia e sconnesso dalla natura.

Vi sembra una società felice questa? Di quanti “like” hai bisogno per sentire che la tua giornata ha avuto un senso? Quando mai la tua felicità è stata al centro del sistema didattico scolastico, della tua formazione religiosa e quanto invece lo è stato il senso del dovere e la richiesta di adeguamento alle regole del sistema?
Quanta scienza hai studiato senza stare fuori all’aperto a contemplare le stelle e la natura? Quanta letteratura hai masticato sui testi scolastici senza sperimentare la poesia dell’esistenza?
E adesso? Quanto tempo dedichi a fermarti ed ascoltare quello che fa per te e quanto invece nel rincorrere un problema dopo l’altro, un impegno dopo l’altro? Ma se questa è la realtà che vivi come puoi entrare in contatto con la tua dimensione cosmica, come fai a ricordarti chi sei?

Il pensiero dominante è una forma cinica e brutale di dare peso a ciò che garantisce un ritorno economico e materiale, tutto il resto non conta. Purtroppo ad esso si contrappongono visioni romantiche che impaurite dal confronto con le leggi della materia creano un loro habitat protetto ma anche privo di potere. Sono luoghi rifugio, una sorta di riserva indiana che rientra perfettamente nella strategia di questo sistema.
Ma il ricordo profondo di noi stessi ci rimanda ad una realtà molto più antica, densa e luminosa di ogni visione materialista e di ogni afflato mistico romantico. E’ vedere la realtà per quella che è fuori dall’illusione della mente. Ma per arrivare a ciò ci sono alcuni passi alchemici da seguire. Il primo si chiama purificazione